Autonomia differenziata al Nord, la Sicilia “piange” sulle troppe occasioni perdute
Oggi pomeriggio l’Ars dedicherà una intera seduta all’autonomia differenziata che il governo nazionale sta per riconoscere alle tre più ricche regioni del Nord: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Meglio tardi che mai. Ma questo dibattito avrebbe dovuto svolgersi almeno due mesi fa. O non è stata compresa l’importanza di ciò che significa “rafforzare l’autonomia” di queste tre regioni che producono metà del Pil italiano, oppure le beghe interne ai partiti, opposizioni comprese, sono state tanto assorbenti da non rendersi conto della gravità della situazione.
E se l’Emilia Romagna chiede di potere svolgere alcune funzioni che attualmente paga lo Stato, con lo stesso importo, Lombardia e Veneto chiedono di ottenere i nove decimi delle tasse che vengono versate nei loro rispettivi territori. E siccome le entrate dello Stato sono sempre quelle, concedere a queste due regioni quanto chiedono, significherebbe che per le rimanenti regioni, automaticamente, diminuirebbe la quota da dividere.
Ma al di là dei soldi, dal punto di vista politico – istituzionale, si creerebbero le condizioni per una secessione delle ricche regioni del Nord, giacché anche Piemonte e Liguria si appresterebbero a fare la stessa richiesta. Richiesta più che legittima: è previsto dal terzo comma dell’art.116 della Costituzioni che le regioni possano chiedere maggiori competenze, cosa che ovviamente possono fare solo le regioni più ricche e meglio organizzate.
E la Sicilia con il suo tanto sbandierato Statuto autonomistico, quasi indipendentista? Resterà a guardare ed a riflettere sulle tante, troppe, occasioni perdute: dalla Cassa per il Mezzogiorno ai Fondi europei. Non ci sarebbero problemi di bilancio se la Regione avesse speso la montagna di miliardi di euro che ha a disposizione poiché oltre il 40 per cento sarebbe finito nelle sue casse come gettito Irpef e Iva.
A proposito di tributi, occorre smontare un’idea sbagliata che hanno parecchi siciliani e tutti coloro che vivono al dà dello Stretto, e cioè che la Regione siciliana incassi tutte le tasse che maturano sul suo territorio. Non è assolutamente così. Sul gettito Irpef, la Sicilia riceve dallo Stato i 7/10, mentre il rimborso dell’Iva è solo del 3,64/10. La Regione Sardegna ha ottenuto che le fossero riconosciuti i 7/10 di Irpef e di Iva. Non c’è bisogno di grandi matematici per comprendere che la nostra Regione è pesantemente penalizzata, nonostante il suo Statuto speciale. A parte il fatto che le accise sulla raffinazione del petrolio sono di pertinenza dello Stato.
Perché è vero che abbiamo uno Statuto antecedente la Costituzione – è del 1946 – ma è anche vero che se questo avesse visto la luce qualche anno dopo quando si cominciò a parlare di industrializzare la Sicilia, forse, le accise sulla raffinazione non sarebbero state così facilmente lasciate allo Stato. Un fatto che dovrebbe fare riflettere: la classe politica siciliana o anticipa i tempi o è sempre in ritardo. Non c’è via di mezzo. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Potremmo già scrivere adesso la cronaca di ciò che sarà detto oggi: da una parte ci sarà chi si scaglierà contro La Lega e Matteo Salvini che vuole rendere più ricche ed evolute le regioni Lombardia e Veneto; dall’altra, ci sarà chi alzerà l’indice accusatorio contro coloro che hanno governato per decenni la Regione siciliana e che non hanno saputo sfruttare la occasioni. Avranno torto e ragione entrambe. Però, non può venire meno lo spirito di solidarietà e di sussidiarietà previsto dalla Costituzione. Principio mutuato dall’art. 38 dello Statuto autonomistico, secondo cui lo Stato avrebbe versato ogni anno alla Regione, “a titolo di solidarietà nazionale”, un contributo da utilizzare nella “esecuzione di lavori pubblici”: strade, autostrade, ferrovie… Ma da qualche decennio non arriva più una lira. Perché? Perché questi soldi invece che per gli investimenti, sono stati utilizzati per spesa corrente, anzi, per pagare gli stipendi a tutti gli ex dipendenti degli enti economici regionali, transitati nella Resais.
Le regioni del Nord, dunque, sono legittimate a chiedere di trattenere i loro tributi? L’aspetto di questa vicenda che dovrebbe più preoccupare non è quello economico, ma quello sulle competenze. Tutte e tre le regioni chiedono di potere gestire in autonomia il sistema scolastico. Perché il vero rischio secessionistico non è quello economico, ma quello culturale.