Cammarata e San Giovanni Gemini al referendum: si troverà il punto di fusione?

Si svolgerà il 28 aprile la consultazione referendaria che vedrà i cittadini di due cittadine dell’agrigentino – quasi 13 mila in tutto – esprimersi sull’eventuale fusione amministrativa dei rispettivi comuni di riferimento. Si tratta dei residenti di San Giovanni Gemini e di Cammarata, comuni le cui peculiarità territoriali da tempo fanno pensare come naturale evoluzione l’ipotesi dell’accorpamento: San Giovanni è, infatti, un enclave del territorio di Cammarata che quindi lo circonda integralmente.

Ciò si realizzerebbe coerentemente al dettato della Costituzione Italiana la quale, all’art. 113 comma 2, prevede che la Regione, sentite le popolazioni interessate, possa con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. La fusione realizza l’accorpamento di più enti in un unico nuovo comune di maggiori dimensioni, mediante la soppressione dei comuni esistenti e risponde ad un disegno di riordino territoriale che ridefinisce i confini amministrativi, unendo le strutture di servizio e di rappresentanza. Non meno importante il processo primariamente culturale alla base della scelta politica.

L’obiettivo del legislatore, da una visione più pratica, sarebbe quello del raggiungimento di un alto livello di welfare a fronte di un abbassamento della spesa di gestione. In tal senso, si aiuterebbero i comuni più piccoli a massimizzare le opportunità economiche e sociali, potendo essi, ad esempio, contare su maggiori risorse da investire nello sfruttamento delle risorse territoriali e nella tutela delle identità.

Nel caso di Cammarata e San Giovanni Gemini, la contiguità è assoluta, tale che non se ne apprezzano visivamente i confini. La fusione auspicata da entrambi i consigli comunali, porterebbe a 42 i comuni del Libero consorzio di Agrigento (attualmente rediviva Provincia) e a 389 il numero complessivo di quelli presenti sull’Isola, ove, diversamente da quanto avviene in altre regioni d’Italia, prima tra tutte Trentino Alto Adige e Veneto, non sembra essere molto incisiva la spinta verso la razionalizzazione amministrativa che partiva dal Governo centrale, almeno finché questo aveva un’ispirazione fortemente europeista.

Negli altri Stati europei, in effetti, i piani governativi di riorganizzazione amministrativa sono stati molto più efficaci e veloci, funzionalmente sottesi ad una logica di spending review che l’Italia, storica patria di campanili, sembrerebbe non volere assimilare. Nello Belpaese, infatti, al fine di incrementare l’applicazione dell’istituto, è stata necessaria la predisposizione di incentivi alle fusioni, quali essenzialmente l’allentamento del Patto di stabilità, secondo la Legge Delrio, e la previsione di un contributo straordinario pari al 40% dei trasferimenti erariali complessivamente attribuiti ai comuni preesistenti per l’anno 2010, secondo Legge di Stabilità del 2017.

Ancora, tra i vantaggi della fusione, in via generale, secondo un sito di settore “la possibilità di utilizzare i margini di indebitamento consentiti dalle norme vincolistiche in materia a uno o più dei comuni originari e nei limiti degli stessi, anche nel caso in cui dall’unificazione dei bilanci non risultino ulteriori possibili spazi di indebitamento per il nuovo ente; la possibilità per la legge regionale di fissare una diversa decorrenza degli obblighi di esercizio associato di funzioni comunali (stabiliti dalla norma statale) per i comuni derivanti da fusione; l’esenzione dall’obbligo di esercizio in forma associata delle funzioni comunali per i comuni istituiti mediante fusione che raggiungano una popolazione pari o superiore a 3.000 abitanti (o a 2.000 abitanti, se appartenuti a comunità montane), per un mandato elettorale; il mantenimento dei benefici stabiliti dall’Unione Europea e dalle leggi statali per i territori dei comuni estinti”. Salvi in ogni caso, nell’ottica di temperare l’impatto territoriale della ridefinizione amministrativa e salvaguardare al contempo partecipazione e decentramento, eventuali municipi come sedi di rappresentanza delle comunità di origine.

I referendum in questione hanno generalmente natura consultiva, ma alcune Regioni hanno deciso di autovincolarsi alle risultanze referendarie, chiamando a sostegno quorum più incisivi. Non è il caso della Regione Siciliana che, nella legge regionale n. 1/2004, ha inserito soltanto un generico obbligo di motivazione per le successive proposte di legge intorno alle fusioni degli enti locali prossimi.

Nel 2012, il giornalista Gian Antonio Stella, grande appassionato di spesa pubblica e tagli alle poltrone, detrattore dei “piccoli egoismi di contrada”, sulle pagine del Corriere della Sera, portava come esempio virtuoso il progetto siciliano del Comune “Cammarata Gemini” che intanto prendeva corpo nella prima tappa di raccolta firme. Secondo il giornalista, Maria Santissima di Cacciapensieri, venerata indistintamente da cammaratesi e sangiovannesi, avrebbe illuminato i propri fedeli, giacchè “fare il passo di unirsi rinunciando ciascuno a un proprio pezzo di sovranità e di potere locale per mettere insieme tutta una serie di servizi, dal segretario comunale all’ufficio urbanistica, dall’IMU ai vigili urbani, soprattutto in una realtà come quella siciliana non era facile”.

Il referendum del 28 aprile, indetto ex lege dal sindaco del comune con il maggior numero di abitanti – in questo caso, San Giovanni Gemini – sarà valido se raggiungerà la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto. Si voterà dalle ore 7 alle ore 22 e lo scrutinio avverrà subito dopo la chiusura dei seggi.

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