Catania, altra ondata di arresti per delitti di mafia commessi negli ultimi 20 anni

Carabinieri del Ros di Catania, coordinati dalla locale Dda, stanno eseguendo un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per 23 indagati, nell’ambito di indagini su 23 omicidi di mafia commessi dalla fine degli anni ’80 al 2007.

I NOMI: I destinatari del provvedimento emesso dal Gip sono: Alfio Adornetto, 49 anni, Santo Battaglia, 59, Filippo Branciforte, 56, Enrico Caruso, 65, Giovanni Cavallaro, 48, Giuseppe Cocuzza, 57, Nunzio Cocuzza, 54, Orazio Benedetto Cocimano , 56, Francesco Di Grazia, 54, Aldo Ercolano, 60, Natale Salvatore Fascetto, 50, Natale Ivan Filloramo, 46, Francesco Maccarrone, 59, Angelo Marcello Magrì, 50, Orazio Magrì, 49, Sebastiano Nardo, 72, Cesare Natale Patti, 62, Aurelio Quattroluni, 60, Vincenzo Santapaola , 64, Vincenzo Salvatore Santapaola, 51, Giuseppe Squillaci, 74, Nicolò Roberto Natale Squillaci, 50, e Nunzio Zuccaro, 58.

LE INDAGINI: Le indagini del Ros sono state avviate nell’aprile 2018 dopo la collaborazione con la giustizia di Francesco Squillaci, ‘uomo d’onore’ della ‘famiglia’ Santapaola – Ercolano di Cosa nostra etnea. L’ordinanza cautelare è stata notificata in carcere a 18 degli indagati, già detenuti per altra causa, altri cinque sono stati invece arrestati. Tra i primi ci sono Vincenzo e Vincenzo Salvatore Santapaola, di 64 e 51 anni, che sono, rispettivamente, i figli dei capomafia Salvatore e Benedetto.

Tra i delitti al centro dell’inchiesta anche uno di ‘pulizia interna’ al clan: il duplice omicidio del boss Angelo Santapaola e del suo autista, Nicola Sedici, commesso il 26 settembre del 2017, e per cui è stato condannato definitivamente all’ergastolo l’allora reggente provinciale della ‘famiglia’. L’agguato avrebbe avuto come mandante Salvatore Vincenzo Santapaola, figlio di Benedetto, che secondo la Procura era “preoccupato dall’ingombrante presenza, dell’autonoma operatività e dei rapporti diretti e privilegiati del boss con Cosa nostra di Palermo”. Come esecutore materiale è accusato Orazio Magrì, mentre a Natale Filloramo è contestata la complicità nel duplice omicidio.

Fatta luce anche sull’uccisione di Francesco Lo Monaco, 20 anni, assassinato a Motta Sant’Anastasia il 7 giugno 1994 perché ritenuto l’autore di una rapina commessa a un distributore di carburanti di proprietà del boss Marcello D’Agata, uomo d’onore di Cosa nostra. Tra i casi di ‘lupara bianca’ è inserita la scomparsa, dal 10 luglio del 1991, di Salvatore Montauro: sarebbe stato ucciso perché ritenuto vicino al clan rivale dei Cappello e potenziale sicario di quel gruppo. Tra le vittime anche persone ‘estranee’ alla mafia come Salvatore Motta, tra i deceduti di un triplice omicidio commesso il 10 aprile del 1991 a Lentini, nel Siracusano. Gli obiettivi dei sicari, che agirono su richiesta del clan Nardo, erano Cirino Catalano e Salvatore Sambasile. Motta si trovò al posto sbagliato, al momento sbagliato.

Il pentito Francesco Squillaci si e autoaccusato di altri 13 omicidi per i quali non c’erano indagini in corso e ha parlato di almeno 50 omicidi, tra i più importanti della storia di Catania. Tra questi dell’ispettore capo della Polizia di Stato Lizzio, di Gino Ilardo, di quello degli imprenditori Vecchio e Rovetta. “Quello di Squillaci – hanno detto i magistrati – è un caso particolare perché ha fatto già 25 anni di carcere e ha deciso di collaborare dopo un percorso molto lungo, permessi premio, collaborazioni con associazioni di vittime della mafia, collaborazioni teatrali ed incontri per rinnegare il suoi passato”.

“Squillaci – hanno detto i magistrati – racconta come loro erano sempre a conoscenza dei blitz ed avevano il favore di numerosi poliziotti, carabinieri e soprattutto della Polizia Penitenziaria. Ha raccontato anche che il carcere di Bicocca era nelle loro mani e che obbligavano il comandante della Polizia Penitenziaria ad adempiere a tutte le loro richieste”.

Il procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, parla di “risposta forte a numerosi omicidi che, seppur lontani nel tempo, sono particolarmente importanti perché rappresentano delle svolte significative nelle dinamiche delle lotte di potere anche all’interno dell’organizzazione mafiosa. Molte delle persone che erano in carcere non avevano ancora misure cautelari che riguardassero l’ipotesi di omicidio. L’omicidio non solo non si prescrive dal punto di vista giuridico. Individuare tutti gli autori degli omicidi anche a distanza di anni significa non solo eliminare la possibilità di reiterazione del reato ma anche indebolire le organizzazioni mafiose. In quel periodo gli omicidi venivano eseguiti con metodologia particolarmente crudele. Le persone venivano portate in campagna immobilizzate e torturate per ore poi essere strangolate e bruciate”.

 

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