Cittadini e imprese, il conto della crisi lo pagano loro: la politica non perda tempo

Ad un anno dall’inizio del lockdown, il conto dei danni è salatissimo. Il PIL lordo nel 2020 – secondo l’Istat – è diminuito dell’8,8%. Significano 160 miliardi di euro in meno rispetto al 2019. Ognuno di noi ha praticamente perso 2.600 euro di PIL. Senza considerare che, essendo il Pil il parametro di rivalutazione delle pensioni calcolate con il metodo contributivo, questo crollo peserà sugli assegni dei futuri pensionati 100 euro al mese per chi oggi ha 50 anni (stime Progetica).

Se guardiamo alle famiglie, la perdita registra 29 miliardi di euro di reddito perso. Una famiglia su tre dichiara di aver subito una diminuzione di reddito. Crescono le situazioni di grave indigenza: secondo l’indagine Caritas il peso dei nuovi poveri è passato dal 31 al 45% solo nell’ultimo anno.

Di contro è salita a livelli record la propensione al risparmio, passata dal 9 al 16%. In pratica, sui conti correnti delle famiglie sono convogliati 84 miliardi in più rispetto al 2019 e ora il totale viaggia a 1.200 miliardi (dati centro Studi Intesa Sanpaolo). Il dato è un chiaro indicatore di sfiducia nel futuro ma anche di forti diseguaglianze tra le varie categorie di lavoratori.

108 miliardi di consumi andati in fumo. I dati peggiori riguardano le palestre (-70%), i viaggi (-63%), gli alberghi (-47%), i servizi per tempo libero (-46%) ed i ristoranti (-34%). Ma chi in assoluto ha perso di più è il settore dello spettacolo dal vivo (con punte per alcuni settori, come i concerti dal vivo e i cinema, che sfiorano il 100%).  Con meno occasioni di socialità, sono scesi anche i consumi di abbigliamento (un taglio complessivo per il settore del 23%), con un crollo maggiore soprattutto nelle città d’arte dove, in assenza di turisti, sono crollati anche i consumi nei negozi.

Tra i pochi consumi che registrano aumento, quelli attinenti i generi alimentari (con un rincaro medio dei prezzi, però) e la spesa per prodotti di informatica (diventati beni primari per consentire istruzione e lavoro). Segno positivo anche per la manifattura, che dopo aver perso il 9% nell’intero 2020, sta ora recuperando grazie all’export per metalli, autoveicoli e alimentari. Ma il primato per aumento delle vendite tocca ovviamente al commercio online, salito in un solo anno del 34%, a vantaggio però soprattutto di piattaforme non nazionali.

Banca d’Italia mette in guardia da un rischio di crescita dei fallimenti: 2.800 in più entro il 2022 a cui se ne potrebbero aggiungere 3.700, stoppati nel 2020 dagli aiuti pubblici. Tra le più vulnerabili ci sono le imprese molto piccole, che sono la dorsale dell’economia italica, soprattutto al Sud.

Sul fronte lavoro, la disoccupazione è schizzata al 9% contro il 7,6 medio dell’Ue. Un dato «tamponato» dalle misure intervenute, come la cassa integrazione (per 4 miliardi di ore, 20 volte la media degli ultimi 3 anni!) ed il divieto di licenziamento. Se dovesse saltare il divieto al licenziamento, sono stimati ad alto rischio 1,4 milioni di posti lavoro.

Le fasce di lavoratori più penalizzati sono le fasce deboli ovvero giovani e donne. L’Istat ha certificato che il 70% dei 444.000 posti scomparsi nel 2020 sono femminili, prevalentemente impiegate nei settori maggiormente toccati dalla crisi.

Per rispondere a questi dati di drammatica entità, la spesa pubblica nel 2020 è stata la più alta dal 2008, pari a quasi 871 miliardi. Grazie alla sospensione dei vincoli di bilancio Ue, il debito pubblico è salito di 160 miliardi e vale oggi il 157% del Pil (a fronte del 134% del 2019).

Contro questa “Caporetto” per imprese e famiglie, sono stati erogati nel 2020 ben 258 miliardi di euro (di cui 150 di prestiti garantiti) e sono stati sospesi crediti per 300 miliardi. Praticamente una cifra enorme se si considera che di solito una manovra finanziaria mette sul tavolo 30 miliardi.

Per saldare il conto della crisi, l’Europa ha messo sul tavolo dell’Italia 209 miliardi del Next Generation Ue (che se non utilizzati bene costituiranno ulteriore debito per l’Italia). Ma queste risorse sono condizionate alle riforme. Riforme che non possono più aspettare. Ogni mese di ritardo infatti viene stimato in 4,7 miliardi di mancato recupero dei consumi.

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