Fase 2, la Sicilia riparte: tra timori e speranze, tra incognite e scommesse
Nuova accelerazione verso il ritorno alla normalità anche in Sicilia. Con la riapertura di negozi al dettaglio, ristoranti e bar, barbieri, parrucchieri e centri estetici si cerca di lasciarsi alle spalle i tre mesi più brutti degli ultimi 75 anni. La partenza, ovviamente, è andata a rilento: non tutti hanno riaperto e chi lo ha fatto non ha certo trovato tutta la clientela dei mesi passati. Ma è un passaggio importante verso la normalità.
I cosiddetti “servizi alla persona” hanno avuto il sold out con richieste di prenotazioni con attese di almeno una settimana. Nunzio Reina, presidente dell’area Immagine e Benessere di Confesercenti Sicilia, è soddisfatto. “In questi mesi ho condotto una guerra contro gli abusivi che hanno continuato a lavorare nonostante il lockdown mentre noi che abbiamo rispettato le norme e abbiamo gli strumenti per lavorare in sicurezza no. Non aumenteremo i prezzi, sarebbe un modo per approfittare di questa situazione e noi non lo faremo. Il kit ci costa da 3 a 4 euro, ma non possiamo badare a spese. I clienti vengono per appuntamento uno alla volta e dopo ogni taglio sanifichiamo tutto. Per noi la salute e la sicurezza vengono prima di ogni cosa. Da quando è iniziata a circolare la notizia della prossima riapertura i nostri telefoni non hanno smesso di squillare. Non abbiamo bisogno di aiuti ma lo Stato deve darci una mano, abolendo le tasse del 2020 e mettendoci a regime nel 2021. Quanto perso non lo potremo mai più recuperare”.
Anche il mondo della ristorazione in Sicilia riparte tra timori e speranze, tra incognite e scommesse. Settima regione in Italia per numero di imprese nel settore della ristorazione secondo il rapporto 2019 di Confcommercio, la Sicilia (25.500 aziende) ‘sfida’ la ripresa puntando sulla qualità e su nuovi servizi. Si punta sulla fidelizzazione del brand, sulla qualità, ma anche sulla innovazione. Si sta lavorando al ‘Consorzio delivery’ made in Sicily, sfidando i colossi del settore e aprendo un nuovo fronte occupazionale nell’isola. “L’obiettivo è rendere meno oneroso il servizio – spiega l’imprenditore Mauro Pomo – non avrà scopi di lucro ma solo un aiuto percentuale sui nostri costi. Attualmente i ristoranti coinvolti sono dieci, ma siamo aperti ad altre adesioni. Il Consorzio nasce per non lasciare a casa i dipendenti, che in questo modo possono essere ricollocati con lo stesso stipendio di prima, con la mansione in più di driver. Si cercherà nei limiti del possibile di rendere meno oneroso il servizio per i consumatori cercando di spingerli al consumo a casa dei prodotti.
Non tutti i ristoratori potranno riaprire ma c’è anche chi ha deciso di non riaprire, almeno per ora. È il caso del notissimo ristoratore Gigi Mangia. “Servono degli scudi per garantire ai ristoratori di potere lavorare in serenità. Uno contro le denunce e le richieste di risarcimento da parte dei clienti in caso di infezione: la responsabilità civile e penale non può ricadere sui ristoratori. Poi ne serve un altro per evitare i fallimenti. In questa situazione drammatica è facilissimo. Servono garanzie e strumenti perché questo non accada. Infine chiediamo al Comune il suolo pubblico. Noi siamo disposti a fare un patto. L’amministrazione ci conceda il suolo pubblico e noi ci impegnano a mantenere il decoro nell’area che ci viene assegnata. In questo modo collaboreremo in modo concreto per rendere Palermo più bella di quanto già non sia”.
Giovanni Trimboli, presidente Fipe, sezione ristoranti di Confcommercio Catania, dice. “Sono tanti i colleghi che non aprirann, resteranno chiusi per protesta contro una apertura frettolosa a male organizzata. Dopo cento giorni di chiusura al pubblico c’è poco da festeggiare, le promesse seguite da sei conferenze stampa e altrettanti decreti non sono state più delle volte mantenute. Non c’è stato quel flusso di denaro nell’economia reale, questo farà ripartire il comparto con problemi economici non indifferenti, la cassa integrazione dopo una lunga procedura burocratica ad oggi non è stata ricevuta da nessuno dipendente, in cento giorni il governo per le imprese ha versato solo seicento euro, pari a sei euro al giorno” .