Finanziaria, Europee e Autonomia del Nord: molte tensioni all’interno della maggioranza
Non sarà facile all’Ars smaltire le scorie prodotte dall’approvazione del Bilancio e della Legge di Stabilità: ci sono state tante tensioni, sia tra il governo e i partiti della maggioranza che fra lo stesso governo e le forze di opposizione. Nell’ultimo lungo giorno, che è iniziato giovedì pomeriggio e si è concluso alle 7,45 di venerdì, di dibattito sul disegno di legge di stabilità, infatti, gli animi si sono piuttosto inaspriti.
Non è certamente sfuggito agli occhi più attenti, l’atteggiamento di alcuni parlamentari del centrodestra che ce l’hanno mesa tutta per fare “saltare il banco”. Perfino alcuni assessori non hanno perso l’occasione per scambiarsi battute al vetriolo. Non si spiegherebbe altrimenti la presenza dell’assessore alle Infrastrutture, Marco Falcone, nei corridoi di Palazzo dei Normanni, mentre nella sede della commissione Bilancio si cercava di trovare la soluzione migliore per porre rimedio alla bocciatura dell’art. 7, cioè la norma che avrebbe consentito, con un artifizio contabile, di spalmare in 30 anni il disavanzo di 540 milioni di euro che il governo regionale avrebbe dovuto spalmare in tre anni, dopo l’ormai famosa sentenza delle sezioni unite di Roma della Corte dei Conti, una sentenza con la quale è stato confermato che il disavanzo che il governo regionale avrebbe dovuto sanare è di 500 milioni, così come stabilito in sede di parifica del rendiconto del 2017.
Adesso toccherà al Consiglio dei ministri decidere se impugnare la decisione della Regione siciliana di ripianare in 30 anni ciò che avrebbe dovuto riassorbire in 3 anni. Evidentemente, sarà intavolata una trattativa che potrebbe concludersi anche in breve tempo, tranne che il governo Di Maio – Salvini non intenda spingere la Sicilia nel baratro. Perché, pur essendo vero che la giunta regionale avrebbe potuto prolungare fino al 30 di aprile l’esercizio provvisorio, il destino della Regione è nelle mani dei due vicepremier.
Ma anche se dovesse arrivare la soluzione romana, non sarà facile la ripresa di un sereno dialogo tra il centrodestra e il presidente della Regione, Nello Musumeci. E gli scontri e gli sgambetti non faranno il bene della Sicilia e dei siciliani. Sarebbe opportuno un chiarimento che potrebbe consentire di affrontare con serenità le prossime elezioni europee. Il recente incontro tra il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, e Musumeci ha fatto nascere più di un sospetto tra gli alleati di Forza Italia. Vero è che “il sospetto è l’anticamera della verità”, come diceva Andreotti, ma non sempre ci si azzecca. Finora, il presidente della Regione ha fatto quello che ha detto: “Non son un ribaltonista, non mi alleo con i 5 Stelle”, ma si è detto pronto a costituire la seconda gamba del centrodestra insieme con Toti. Colpi di spillo per innervosire gli alleati – avversari, oppure solo un modo per conquistare un po’ di spazio mediatico a livello nazionale?
Intanto martedì prossimo, l’Ars dedicherà un’intera seduta al tema dell’”autonomia differenziata” che il governo nazionale dovrebbe concedere a Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, come prevede l’art. 116 della Costituzione. Le regioni del Nord chiedono di avere più risorse economiche visto che sono quelle che contribuiscono di più al bilancio dello Stato italiano. Ma questo potrebbe avvenire a spese delle regioni del Sud. Un tema caldo che, però, è stato preso sottogamba dal governo Musumeci ed anche dai deputati regionali che hanno discusso due mozioni, all’Ars, durante l’approvazione del bilancio e della finanziaria. La giustificazione che l’argomento è stato taciuto dai masse media, è una boutade: tutti sapevano che Lombardia e Veneto avevano indetto un apposito referendum. Meno nota, per la verità, era la richiesta dell’Emilia Romagna che, però, non poteva sfuggire a chi è impegnato in politica. Soprattutto, ai parlamentari nazionali che avrebbero avuto il dovere di informare i loro partiti regionali. Ma, a quanto sembra, non c’è comunicazione tra Roma e Palermo