Gli eredi Cavallotti contro lo Stato italiano: il ricorso alla Corte di Strasburgo è ricevibile
Il ricorso presentato dagli eredi degli imprenditori Cavallotti di Belmonte Mezzagno, a cui sono stati restituiti i beni a distanza di 8 anni dal sequestro del patrimonio, ha superato il filtro di ricevibilità davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, che ora è chiamata a pronunciarsi sull’irragionevole durata del procedimento di prevenzione e sulla violazione che il sequestro ha determinato in relazione al diritto al rispetto della vita privata e familiare e all’integrità del patrimonio. Le società tornate ai Cavallotti sono, dopo l’amministrazione giudiziaria, sull’orlo del fallimento.
Gli imprenditori citano a giudizio davanti alla corte di Strasburgo lo Stato italiano, per l’eccessiva durata del procedimento di prevenzione conclusosi peraltro con un dissequestri dei beni. “Si tratta di una strada nuova, – dice l’avvocato Giordano – dove per la prima volta si chiede di accertare la responsabilità dello Stato sebbene sia intervenuta la revoca della misura di prevenzione”.
I fratelli Vincenzo, Salvatore Vito e Gaetano Cavallotti, padri dei ricorrenti, erano stati processati per turbativa d’asta, reato poi prescritto, e per concorso esterno in associazione mafiosa, accusa da cui invece vennero assolti. I giudici però ritennero che pur non essendoci prove della loro colpevolezza, erano emersi indizi di una loro vicinanza ai boss Ciccio Pastoia e Benedetto Spera, colonnelli del padrino Bernardo Provenzano.
La valutazione dei giudici portò al procedimento di prevenzione e alla confisca del loro patrimonio, mentre i beni dei figli vennero sequestrati. La confisca è diventata definitiva, dopo 8 anni, a giugno del 2019; il tribunale invece ha restituito agli eredi i beni sotto sequestro.