Il reddito minimo? Finirà come i voucher. Quando l’esperienza del passato non insegna niente

L’esperienza dovrebbe aiutarci a non ripetere gli errori del passato. Così non sembra essere per il ministro dello Sviluppo economico, ministro del Lavoro, vice premier e capo politico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio. Chi concentra su di sé tante cariche, in verità, dovrebbe conoscere benissimo i meccanismi salariali. Però, così non è nel caso di Di Maio, che da qualche mese continua a proporre il reddito minimo, ovvero che un’ora di lavoro non dovrebbe costare meno di 9 euro lordi.

Probabilmente Di Maio, che un lavoro non l’ha mai avuto, capisce benissimo cosa significhi ritrovarsi tra le mani 5 o 10 euro dopo un pomeriggio di lavoro. Da ministro del Lavoro, però, dovrebbe sapere che gli imprenditori potrebbero essere tentati di utilizzare la soglia del reddito minimo, semmai dovesse diventare legge dello Stato. Ed, inoltre, come ministro del Lavoro, Di Maio, dovrebbe conoscere quel che accadde con i voucher qualche anno fa: piuttosto che fare emergere il lavoro sommerso, i voucher furono l’unico sistema di pagamento utilizzato. Un fenomeno che fece scalpore e che Di Maio non può ignorare.

Con il reddito minimo, insomma, rischierebbe di ripetersi ciò che è accaduto con i voucher. Esattamente il contrario, in pratica, di ciò che il leader della Lega e ministro dell’Interno (vice premier pure lui), Matteo Salvini vorrebbe fare con la flat tax. Di Maio, peraltro, si contraddice quando da un lato propone il reddito minimo e dall’altro sostiene che vuole mettere più soldi nelle tasche dei lavoratori e delle imprese. Perché, se il reddito minimo diventa la base salariale, saremo tutti più poveri. Tutta la società si impoverirebbe, ci sarebbero meno soldi, calerebbero i consumi, le industrie produrrebbero di meno, aumenterebbe la disoccupazione, l’economia andrebbe gambe all’aria.

E’ già accaduto con i voucher, potrebbe ripetersi con il reddito minimo. Che difficilmente questo governo riuscirà a concretizzare. La maggioranza giallo – verde (perché ci ostiniamo ad attribuire alla Lega il colore verde, se ufficialmente il colore del partito di Salvini è il blu?) non si sa quanto potrà durare. Salvini ha preteso ed ottenuto il voto di fiducia sul decreto “Sicurezza bis”; il Movimento 5 stelle ha presentato una mozione contro la realizzazione della Tav, Torino – Lione, senza dimenticare che Salvini a settembre dovrà rispondere alla Camera dei deputati alla mozione del Pd sulla cosiddetta “Moscopoli”.

Verosimilmente, dopo l’approvazione della legge di bilancio per il 2020, l’attuale maggioranza si sfalderà. Perché non prima? Perché il Movimento 5 stelle vuole avere la certezza che venga confermato il reddito di cittadinanza, per non perdere le residue speranze di tornare in Parlamento, anche se con una rappresentanza ridotta. I sondaggi danno il M5s dal 15 al 17%, se si attestassero sul 10% sarebbe un successo. Il Movimento 5 stelle, come tutti i movimenti che hanno fatto capolino in Italia, è destinato a scomparire dall’orizzonte politico. Dall’Uomo qualunque all’Ucsi, dalla Rete a Scelta civica, l’unico movimento che si è trasformato in partito è la Lega che cominciò la sua scalata al potere nei piccoli centri della profonda Lombardia. E si vede.

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