In radio una canzone italiana su tre, Sanfilippo (Radio Time): “Legge senza senso, ecco perché”

Sta facendo discutere la proposta di legge a firma del leghista Alessandro Morelli – presidente della Commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera ed ex direttore di Radio Padania – che ha l’obiettivo di dare più spazio alla musica italiana nelle radio.

In sintesi, la proposta di legge prevede che le emittenti radiofoniche, nazionali e private, riservino “almeno un terzo della loro programmazione giornaliera alla produzione musicale italiana, opera di autori e di artisti italiani e incisa e prodotta in Italia, distribuita in maniera omogenea durante le 24 ore di programmazione” e una quota “pari almeno al 10 per cento della programmazione giornaliera della produzione musicale italiana è riservata alle produzioni degli artisti emergenti“. Prevista anche una sanzione: sospensione da un minimo di otto a un massimo di trenta giorni.

Sull’argomento l’Opinione ha chiesto un parere a Lello Sanfilippo, editore di Radio Time, una delle emittenti più ascoltate a Palermo e dintorni.

Una nuova legge per avere più musica italiana alla radio, con tanto di soglia: una su tre… da editore che ne pensi?

“Ogni tanto escono delle idee che sono dissociate dalla realtà e purtroppo ai politici capita spesso… Credo che non abbia senso proporre una legge in questi termini.  Si può fare tanto per la musica ma non certo attraverso il metodo dell’imposizione o peggio delle multe alle emittenti, tra l’altro questo sarebbe contrario alle normative europee. Ad esempio, in Francia esiste una legge di questo tipo, non impositiva ma di supporto, ma lo stato sovvenziona sia la musica che le emittenti francesi e, quindi, dà un sostegno ai produttori di musica nazionale che scelgono di promuoverla alle radio. Ma è una scelta delle emittenti se aderire alle sovvenzioni oppure no: molti editori hanno più di una radio e aderiscono con una emittente, rimanendo liberi per le altre”.

Ma in Italia non ci sono già emittenti che propongono una programmazione italiana?

“Sì, quindi non si capisce il senso di imporre la programmazione di brani italiani a priori. Se, poi, gli ascoltatori premiano le emittenti con programmazione mista o sbilanciata verso i brani internazionali, qualcosa vorrà dire… Probabilmente sarebbe meglio favorire manifestazioni musicali di grande respiro come Sanremo… Sì, sono un nostalgico del Festivalbar… In questo momento la programmazione musicale ‘nostrana’ di tutte le radio italiane è superiore al 35%. Ma Sanremo dura poco più di un mese… tutta la musica si consuma in pochissimo tempo… e non certo per colpa delle radio. Anzi nell’ultimo anno non è andata poi così male… i tormentoni della scorsa estate sono stati quasi tutti italiani a riprova che non c’è un movimento radio he ripudia le canzoni in italiano, anzi!”.

E allora perché tutto questo trambusto politico?

“Il problema sta nel fruitore massivo della musica di oggi… Basta andare a guardare su Spotify la classifica ‘viral italia’ dove ci sono solo brani trap di ragazzotti che in radio non passano o passano molto poco, per fortuna. Una legge come quella proposta da Morelli non favorirebbe certo i grandi classici italiani… le emittenti, specie le più piccole, per tentare di attrarre ascoltatori comincerebbero a mandare brani ‘sordi’ che magari, ahimè, prima o poi esploderanno ma le radio, nella loro piena e totale autonomia, visto che le spese di trasmissione sono interamente a nostro carico, diventano l’ultimo baluardo di una cultura musicale messa a dura prova dalle produzioni fatte in casa. Radio Time e Radio Time 90, comunque, garantiscono per scelta una playlist mista con una particolare attenzione alle produzioni siciliane… Ma questo da sempre e per scelta artistica”.

Domanda d’obbligo sul vincitore di Sanremo: Mahmood. Che idea ti sei fatto dopo il suo successo e le polemiche?

“Per il principio dell’alternanza a Sanremo un anno vince la canzone impegnata, l’anno dopo il tormentone: 2016 Stadio, 2017 Gabbani, 2018 Moro + Meta, 2019 Mahmood. Si trattano di critiche inutili che possono solo far male al Paese, alla musica e anche a Mahmood che ora è tenuto a confermasi. Gabbani c’è riuscito per poco più di un anno e aspettiamo ancora i brani nuovi. Mahmood riuscirà a fare lo stesso o di meglio? Alle radio l’ardua sentenza”.

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