La risposta indipendentista di “Siciliani liberi” alla autonomia delle regioni del Nord
La nuova lettera ai Meridionali del Presidente della Regione del Veneto Luca Zaia che, nell’intento di realizzare un’ampia condivisione del disegno autonomista delle regioni del Nord ha preso carta e penna rivolgendosi direttamente ai cittadini del Sud Italia, ha suscitato non poche polemiche e reazioni dei rappresentanti delle principali formazioni politiche dell’Isola e non ha convinto nemmeno il partito indipendentista “Siciliani Liberi” che ha deciso di rispondere con un’accorata contro-missiva.
A dispetto delle determinazioni dichiaratamente indipendentiste, il partito Siciliani Liberi considera la ‘proposta leghista’ nient’altro che una “truffa ai danni dei cittadini meridionali e delle Isole. Una truffa che noi possiamo denunciare e in breve spiegarle perché è tale […] proprio perché non abbiamo mai avuto nulla contro la “vera” autonomia delle Regioni, né abbiamo firmato vari appelli che si sono levati in questi mesi contro la riforma, non perché ad essa favorevoli, ma perché detti appelli erano tutti impregnati di una cultura centralista che non ci appartiene”.
Nato ufficialmente il 27 maggio 2018, a seguito delle determinazioni assembleari dell’omonimo movimento che, nel 2017, aveva espresso la candidatura a sindaco di Palermo dell’architetto Ciro Lomonte ora segretario, aspira, infatti, ad una Sicilia che sia Stato indipendente “in rapporto di confederazione pattizio con l’attuale Stato italiano” cui si dovrebbe approdare – si legge nel programma – “per mezzo di modifica della Costituzione con recupero sostanziale di tutti i margini di autonomia già riconosciuti nel dettato “letterale” dell’attuale Statuto e con, in aggiunta, l’esplicito riconoscimento della sovranità originaria”.
L’impostazione “leghista” dell’autonomia non riscontra alcun favore nella compagine sicilianista in quanto considerata “un’autonomia esclusivamente ‘dei soldi’ e dei ricchi ai danni dei poveri” e – specificano – “non dei “NOSTRI” soldi, con i quali intendete migliorare i vostri già buoni servizi pubblici, e accrescere le già insostenibili sperequazioni interne al Paese”. Riportando le parole del segretario, quella veneta in particolare, sarebbe una “finta secessione dei ricchi, che simula una presunta volontà di staccarsi per restare comunque in Italia continuando a depredare il Sud”. Dunque, un “colossale raggiro” sintetizzato in tre punti.
In primo luogo, la lettera è un je accuse contro i fautori dell’autonomia del nord i cui piani finirebbero per acuire le differenze economiche tra le Regioni “prelevando di più al Mezzogiorno (dove la pressione fiscale è più elevata, con una vera e propria “fiscalità di svantaggio”, inaudita a non dir altro), e dando allo stesso una quantità minore di servizi, e soprattutto di investimenti”. A rischio sarebbero quindi i livelli essenziali nelle prestazioni con le conseguenti ricadute in termini di uguaglianza, quindi di anticostituzionalità delle misure previste nel disegno autonomista.
In secondo luogo – scrivono – “lo Stato ha anche il dovere di garantire la coesione territoriale, la continuità territoriale, lo sviluppo armonico delle sue varie parti, attraverso un’opera di redistribuzione dei redditi e di infra-strutturazione delle regioni a più ritardato sviluppo economico. […] Se le Regioni con il maggior “residuo fiscale” (sulla cui determinazione torniamo al prossimo punto) ne trattengono il 90 % a casa propria, lo Stato non avrà più, con quel 10 % residuo, altro da fare che pagare soltanto qualche ufficio a Roma e le strutture repressive (carceri, polizia, esercito), magari per manganellare il Sud qualora questo volesse alzare la testa. Altro non potrebbe fare, altro che perequazione infrastrutturale”.
Infine, proprio sul residuo fiscale, graverebbe il peso enorme di un calcolo errato che prescinderebbe dal luogo in cui è maturato il presupposto di imposta. Lo spiegano con esempi pratici: “Qualche anno fa, nel 2011 per l’esattezza, complice la Banca d’Italia, Unicredit ha definitivamente “inghiottito” il nostro storico Banco di Sicilia, portando a termine una strategia pluridecennale. Il “Banco” però non ha chiuso gli sportelli in Sicilia; esso continua, sotto la “ditta” Unicredit, a produrre reddito, e in conseguenza a produrre IRES. Quella IRES, che fino ad allora veniva riscossa a Palermo e andava, almeno in parte, alla Regione Siciliana, ora è versata a Milano. Ma quella IRES, che ora andrebbe dritta dritta alle casse della Lombardia, non è stata prodotta in Lombardia bensì in Sicilia! […] È un principio di fiscalità UNIVERSALE: le tasse si pagano dove si forma il presupposto, non dove ha sede legale il soggetto passivo!”.
Alla luce di siffatte valutazioni, che superano ogni istanza identitaria per focalizzarsi sulla concretezza dei numeri e delle dinamiche di tassazione, Siciliani Liberi afferma quindi come ancora preferibile all’autonomia siffatta che, invero – secondo Ciro Lomonte – “non è un’autonomia”, la strada centralista e nazionale,“i confini della legittimità della Repubblica italiana, alla quale, volenti o nolenti, siamo in atto tutti legati; alla Repubblica italiana e alla sua Costituzione che, fino a modifiche in atto non previste, è a tutti gli effetti la Carta fondamentale che regola la convivenza di tutti e che tutti siamo tenuti a rispettare”.