NextGeneration, ultima chance per la Sicilia. Ma non si può più “improvvisare”
Manca una cultura della valutazione che preceda ed accompagni la programmazione territoriale: le valutazioni prodotte ai sensi dei regolamenti Ue rimangono tomi inevasi. Dagli esiti della valutazione ex post di un ciclo di programmazione nessuno trae gli insegnamenti per non ripetere gli stessi errori. E non è un caso che oggi siamo tra le Regioni con maggiori difficoltà nella spesa europea, non tanto in quanto a raggiungimento di target di spesa ma nella capacità di creare sviluppo e generare impatto.
Prima di parlare di sfide della programmazione territoriale, costruiamo le fondamenta di queste sfide. Sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), partiamo da alcune domande: come possiamo creare veramente sviluppo? Su quali parametri valutiamo che le scelte fatte siano leva effettiva di sviluppo? In base a quali parametri oggettivi decidere quali progetti finanziare e come fare affrontando la questione dei divari economici e sociali, che sono territoriali, di genere, generazionali ma sono soprattutto infrastrutturali e di una economia che viaggia a due velocità?
Le risorse del PNRR sono infatti destinate a una ben precisa finalità: recuperare i divari di cittadinanza e soprattutto i gap di dotazione infrastrutturale, nodo primario della diversa velocità di ripresa. Se non teniamo bene a mente quale ragione ha portato a determinare la dotazione delle risorse del NextGeneration EU destinate all’Italia, corriamo il rischio che per ridare immediato slancio al sistema produttivo a qualcuno venga in mente di indirizzare le risorse innanzitutto verso le aree produttive del Nord: quelle più “produttive”, più veloci anche nella spesa.
La sfida allora non è nel declinare le proposte ma come declinarle e quali scelte fare a monte. Per fare “debito buono” bisogna prima mettere in moto le potenzialità del Sud e fare sviluppo.
Partiamo da un dato: se all’Italia sono stati assegnati 209 miliardi è per i dati del Sud. Senza le faglie in termini di occupazione, servizi essenziali, infrastrutture, crisi economica, fragilità dei sistemi produttivi e dei sistemi occupazionali del Sud, la dotazione dell’Italia sarebbe stata di gran lunga diversa. Se parliamo di sfide per creare sviluppo al Sud, partiamo ammettendo la carenza di progetti cantierabili, la lentezza e farraginosità delle procedure (per cui il tempo di varianza di un progetto di infrastrutture è ancora di 10 anni, ben oltre la media UE); la mancanza di una cultura della valutazione anche in fase di selezione opere; carenze nei ranghi tecnici della Pubblica Amministrazione; carenze di profili di competenza necessari che rendono ancora eccessivamente dipendenti dalle assistenze tecniche.
Secondo dato: per usar bene le risorse bisogna prima capirne la logica e le regole dello strumento. Nei vari documenti di proposta sul “Recovery Fund” (e già qui c’è la svista: perché non di Fondo si tratta, ma di piano straordinario di utilizzo di strumenti di debito autorizzati dall’Unione Europea per creare le condizioni per uno sviluppo e per costruire la “next generation”), quasi nessuno fa riferimento alle stringenti regole imposte dal Regolamento di utilizzo, già pubblicato in Gazzetta europea, che disciplina le regole del PNRR.
Le risorse sono attribuite ad alcune priorità strategiche. Una delle regole del PNRR riguarda la data di cantierabilità delle opere. Dei 209 miliardi, solo 82 sono destinati a sovvenzioni del NextGeneration EU ; le rimanenti risorse sono la parte “a debito”. Ci sono poi le percentuali di area progettuale da rispettare, una per tutti la soglia di risorse da destinare a progetti per la conversione ecologica e la transizione digitale, due priorità che dobbiamo giocarci bene al Sud.
In base a quanto stabilito dalla Commissione europea, con la pubblicazione del documento sui pilastri del NextGeneration EU, condiviso insieme alle nuove linee guida per accedere ai finanziamenti dello Strumento per la ripresa e la resilienza, il 70% delle risorse dovrà essere impegnato tra il 2021 e il 2022, mentre il restante 30% dovrà essere speso nel 2023. Queste date segnano un preciso perimetro dentro il quale si dovranno scegliere i progetti. Nessun progetto quindi che non generi “subito” spesa. E nessun progetto che non generi sviluppo.
Il regolamento PNRR non prevede inoltre nessuna dotazione territoriale predefinita, ma solo dotazioni per priorità strategica e missione: a differenza dei fondi strutturali, non alloca nessuna risorsa per territorio o per amministrazione. I progetti sinora proposti dalla Regione e da altri enti locali vanno considerati come ricognizione di proposte progettuali, ma non sono essi stessi programmazione del Piano, semmai un elenco dei bisogni e delle idee.
Scegliamo allora con quale prospettiva vogliamo affrontare la questione: una retorica risarcitoria secondo la quale al Sud toccano le risorse perché defraudato dal nord? O partendo dall’analisi dei gravi divari esistenti puntando a creare le condizioni per mettere in atto sviluppo endogeno?
Continuando nell’ottica risarcitoria, produrremo il solito elenco di opere immaginifiche che poi non si tradurranno in cantieri, soprattutto in sviluppo. Meglio allora scegliere progetti dotati di studi di settore che ne assicurino la fattibilità e che abbiano tempi di progettazione e realizzazione che non valicano i limiti imposti dai regolamenti vincolanti sulla cantierabilità dei progetti PNRR.
Al Sud servono risorse per superare il divario infrastrutturale con il Nord, per potenziare i servizi sociali e garantire i livelli minimi di assistenza; servono risorse per la medicina di base e territoriali, per l’istruzione, per garantire l’occupazione femminile e proteggere il terziario di mercato, per trattenere i giovani a produrre nella propria terra, evitando di investire risorse nella loro formazione che poi produrranno vantaggio economico in altre aree del Paese.
Dobbiamo evitare come la peste gli aiuti generalizzati (tema a cui non abbiamo mai saputo imprimere una svolta) e individuare invece alcuni attrattori di eccellenza che già esistono al Sud o filiere che possono costituire da noi occasioni vere di sviluppo nelle priorità del PNRR (vedi idrogeno e filiere legate alla conversione ecologica).
Abbiamo sul tavolo due esempi che ci devono guidare: le Zes (zone economiche speciali) e la Fiscalità di Vantaggio. Sulle Zes, su cui non dovrebbe essere perso più un solo istante, ancora pende la questione del ricorso di competenza presentato dalla Regione che sta bloccando il più importante strumento di attrazione di risorse per le imprese. La Fiscalità di Vantaggio è una misura che necessita di un tempo più ampio, per dare certezza agli investimenti, attrarre risorse e frenare la fuga dei giovani; serve quindi garantirne l’estensione almeno al 2029.
Investire in modo puntale e differenziato, resistendo alla tentazione dell’aiuto a pioggia, permetterà di sviluppare sistemi virtuosi di agglomerazione che permettano alle città meridionali di diventare finalmente motori di sviluppo e alle aree interne ed isolate di recuperare quei gap non solo economici ma di prestazione sociale che sono causa della desertificazione e della diseguaglianza sociale.
Il tema ancor prima che di merito è di metodo. E nel metodo bisogna fare un esercizio che non è mai stato fatto al Sud e che invece l’ultimo ministro per il Sud, Peppe Provenzano, stava portando avanti. Occorre partire dagli esiti della valutazione ex-post dei tanti fallimenti delle misure europee al Sud ed in Sicilia. I regolamenti dei fondi strutturali impongono precise e puntuali valutazione ex-ante, in itinere ed ex-post che però sono rimaste un esercizio di alta tecnica e non sono poi mai state prese come base per costruire i piani di intervento. Purtroppo non impariamo dai nostri errori.
Basta leggere le valutazioni ex post più recenti per non avere dubbi che la prima vera programmazione territoriale deve riguardare le non più derogabili riforme, a partire da quella della semplificazione, della razionalizzazione della pubblica amministrazione e quella degli appalti, non trascurando quella necessaria della Giustizia e della piena integrazione socio-sanitaria e la riforma fiscale. Senza queste, non si può programmare sviluppo.
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