Niente domiciliari per Brusca, Falcone: “Risposta alla richiesta di giustizia dei cittadini”
“Con la sua decisione la Cassazione ha dato una risposta alla richiesta di giustizia dei cittadini che continuano a vedere nella mafia uno dei peggiori nemici del nostro Paese. Se si accetta che per un fine superiore vengano concessi benefici ai criminali che collaborano con lo Stato, resta però inaccettabile la concessione di sconti ulteriori a chi si è macchiato di delitti tanto efferati”.
Così Maria Falcone dopo la decisione della Cassazione di negare i domiciliari a Giovanni Brusca. Il ricorso presentato dai suoi legali, infatti, è stato rigettato in esito alla udienza camerale di ieri.
Sullo stesso argomento è intervenuto anche l’ex presidente del Senato Pietro Grasso, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Per me è stato giusto che Riina e Provenzano siano rimasti in carcere fino alla loro morte, ma uno come Brusca non si può valutare alla stessa maniera.
L’ex giudice a latere del maxi-processo alla mafia, poi procuratore di Palermo e procuratore nazionale antimafia, ha ricordato che Brusca “ha scontato oltre 23 anni in carcere, e tra due anni la pena sarà esaurita, gode già di permessi che per certi versi gli concedono più spazi di libertà rispetto alla detenzione domiciliare: è la dimostrazione che collaborare paga”.
“I magistrati hanno avuto tutti gli elementi per decidere, e io rispetto qualsiasi decisione”, ha aggiunto Grasso che ha ricordato di potersi ritenere “una vittima di Giovanni Brusca” perche “aveva progettato un attentato contro di lui e voleva rapire suo figlio”.
“Ma è pure vero che queste cose le sappiamo grazie a lui, alla sua collaborazione e confessione”, ha aggiunto, “le ha dette anche a me, durante decine di interrogatori”.
“Quando ho avuto a che fare con lui avevo l’obiettivo di cercare la verità”, ha spiegato Grasso, “non mi sono preoccupato di ottenerne le scuse o richieste di perdono, la legge per ‘ravvedimento’ intende altro. Lui ha deciso di collaborare con la giustizia, rompendo ogni legame con Cosa nostra, rendendo dichiarazioni che hanno trovato riscontri e conferme. Il “pentimento sociale” richiesto dai giudici di sorveglianza secondo me è rappresentato anche dalla collaborazione che non s’è interrotta in oltre vent’anni, perché ha aiutato a scoprire la verità su ciò che era avvenuto e impedito ulteriori crimini”.