Corruzione, arrestati a Palermo due consiglieri comunali, funzionari e imprenditori

Terremoto giudiziario al Comune di Palermo. Agli arresti domiciliari sono finiti due consiglieri comunali di Palermo, due funzionari del Comune, un architetto e due imprenditori. Sono accusati, a vario titolo, di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio, corruzione per l’esercizio della funzione e falso ideologico in atto pubblico.

I consiglieri comunali arrestati sono Sandro Terrani, 51 anni, di Italia Viva, membro della Commissione Bilancio, e Giovanni Lo Cascio, 50 anni, del Pd, presidente della Commissione Urbanistica, lavori pubblici, edilizia privata. Ai domiciliari anche i funzionari comunali Mario Li Castri, 56 anni, ex dirigente dell’Area Tecnica della Riqualificazione Urbana, e Giuseppe Monteleone, 59 anni, ex dirigente dello Sportello Unico Attività Produttive, l’architetto Fabio Seminerio, 57 anni, e gli imprenditori Giovanni Lupo, 77 anni, di San Giovanni Gemini e Francesco La Corte, 47 anni, di Ribera, amministratori della ditta edile Biocasa s.r.l.  All’architetto Agostino Minnuto, 60 anni, di Alia, è stato notificato l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.

Per i due consiglieri comunali, alla luce dell’inchiesta, è scattata la sospensione con provvedimento della prefettura di Palermo. I due consiglieri comunali fanno parte della maggioranza che sostiene il sindaco Leoluca Orlando che aveva già annunciato per lunedì un rimpasto della giunta (con l’inserimento di Arcuri, Marino e Petralia come assessori). Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone nel marzo 2018 erano stati condannati a due anni, in primo grado, insieme ad altre 19 persone (funzionari comunali, tecnici, imprenditori e un notaio), per la lottizzazione abusiva di via Miseno a Mondello (dove entrambi risultano residenti e dove 12 villette sono state confiscate dalla magistratura). Poco prima della sentenza di primo grado Li Castri era stato nominato dall’amministrazione comunale nel Cda dell’Amg Gas. Nell’agosto 2015, quando Li Castri era già stato rinviato a giudizio, fu comunque nominato dirigente comunale.

Le indagini, coordinate dalla Procura di Palermo, hanno accertato l’esistenza di un comitato d’affari composto da imprenditori e professionisti in grado di incidere sulle scelte di pubblici dirigenti e amministratori locali che, in cambio di soldi e favori, avrebbero asservito la pubblica funzione agli interessi privati. Gli arresti sono stati notificati dai finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria e dai carabinieri del Reparto Operativo di Palermo.

A svelare ai magistrati di Palermo il comitato d’affari al Comune tra consiglieri comunali, dirigenti, professionisti e imprenditori, tutti finiti ai domiciliari oggi per corruzione, è stato il pentito Filippo Bisconti, imprenditore edile arrestato dai carabinieri per associazione mafiosa il 4 dicembre 2018 nell’inchiesta Cupola 2.0 e ritenuto a capo del mandamento di Misilmeri – Belmonte Mezzagno. L’ex boss ha raccontato agli inquirenti circostanze e dinamiche interne agli uffici tecnici comunali, riferendo in particolare gli interessi coltivati per anni dai dirigenti comunali Li Castri e Monteleone e da un architetto.

Perquisizioni di carabinieri e finanzieri in casa dei sette indagati per corruzione. Gli inquirenti perquisiranno poi gli uffici dell’edilizia privata al Comune di Palermo nel polo di via Ausonia.

Dall’inchiesta emerge che in una conversazione telefonica avvenuta il 17 gennaio 2019, l’allora assessore comunale Emilio Arcuri si diceva contrario a firmare gli atti relativi alla modifica del Piano regolatore generale che avrebbe consentito l’edificazione a scopi abitativi di alcune ex aree industriali. Arcuri allora era vicesindaco e doveva firmare le proposte deliberative proponendone l’adozione al Consiglio Comunale. “Sono atti che ho firmato pure io… col mal di pancia”, dice al telefono facendo capire che avrebbe preferito un diverso utilizzo della aree oggetto dei progetti. “Perché dico: – prosegue – Io unn’avissi fattu manco questi! -. Però, voglio dire, le pensate al riuso di quegli spazi piuttosto che immaginarli come aree edificabili”. A indurre poi Arcuri a firmare era stato Mario Li Castri che lo aveva convinto giustificando l’atto amministrativo con il risparmio di cubatura.

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