Presunta truffa sulla formazione, i legali di Savona: “Chiariremo tutto”
La notizia non è nuova: c’è una richiesta di rinvio a giudizio per il deputato regionale Riccardo Savona, la moglie Maria Cristina Bertazzo; la figlia Simona Savona; Sergio Piscitello, Nicola Ingrassia e Michele Cimino. L’accusa è quella di aver drenato fondi europei destinati alla formazione professionale con corsi mai eseguiti o parzialmente rispondenti ai bandi grazie anche a documenti falsi, furti di identità ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.
La novità sta nella estrema divergenza delle posizioni fra gli indagati che, come emerge nelle ultime ore, si rimpallano responsabilità e accuse. Cimino, ex presidente della Rises che ottenne un corposo finanziamento, ai pm avrebbe detto di non avere mai avuto il coraggio di chiedere informazioni su alcuni progetti per paura di essere licenziato e che ci sono documenti che non sono stati firmati da lui adombrando l’ipotesi che qualcuno abbia falsificato la firma.
Adesso gli avvocati Salvatore Traina, Giada Traina e Manuela Gargano che difendono il deputato Riccardo Savona, scrivono che “Cimino si difende cercando di scaricare le sue eventuali responsabilità sugli altri, scelta difensiva legittima per quanto non condivisibile. Cimino era presidente della Rises e non un impiegato che potesse temere il licenziamento”. Gli avvocati sottolineano che l’on. Savona e la moglie si sono sottoposti volentieri a perizia calligrafica innanzi all’esperto nominato dalla Procura e nessuna delle firme del Cimino è risultata in alcun modo a loro riconducibile”.
“La Difesa dell’on. Savona in questi anni ha lavorato scrupolosamente e nel silenzio – aggiungono i legali – e sarà ben lieta di offrire al giudice, nel momento processuale a ciò dedicato, i risultati dell’attività investigativa svolta. Ci sono molti punti oscuri in questa vicenda, ma verranno chiariti. Più che di ‘gruppo Savona’, come lo chiama Cimino, viene da pensare al ‘Teorema Cimino’, che però non ha nessun valore probatorio, ma rappresenta soltanto il maldestro tentativo del legale rappresentante dell’Ente finito sotto inchiesta di ‘nascondersi dietro un dito’ piuttosto che impegnarsi nella faticosa dimostrazione della correttezza del proprio operato”.
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