Recovery Fund ed Aree interne: la coesione sociale come metodo di lavoro

Per innescare processi di sviluppo, che incidano in modo significativo e durevole sull’economia dei territori, bisogna cambiare radicalmente il modo di concepire la programmazione territoriale, ripartendo dalla coesione sociale e dal coinvolgimento reale e sostanziale dei cittadini e dei portatori di interesse. Ed è proprio sul concetto di coesione sociale – termine diventato il baricentro delle politiche europee e fulcro del Piano di Ripresa e Resilienza (ma altrettanto poco compreso e frainteso, come lo è un po’ sempre stato il concetto di “sostenibilità”) – che si gioca la partita dello sviluppo dei territori e delle comunità.

L’errore comune è considerare la coesione come un obiettivo, quando invece è un “metodo”. La Coesione è infatti lo strumento attraverso il quale si persegue l’obiettivo dell’inclusione sociale, fondamento non solo delle politiche europee (in primis il Trattato di Lisbona, che come il ddl Zan è qualcosa di cui tutti, nel bene o nel male, parlano ma pochi lo hanno veramente letto articolo per articolo) ma anche nella nostra Costituzione (art.3 che invita a rimuovere gli squilibri economici e sociali).

Se la coesione è il mezzo, il fine è allora quello di assicurare ad ogni persona la possibilità di vivere in modo sostenibile, cioè in modo armonico e in un sistema che garantisce pari opportunità e l’equilibrio delle scelte della comunità. Attraverso lo strumento della coesione si persegue allora il fine di costruire la possibilità per le comunità di vivere tutte le dimensioni della propria vita: un reddito in media con quello degli altri, una istruzione accessibile a tutti, l’accesso paritario agli strumenti di cura della persona (i servizi sociali e la sanità in primis).

Attraverso la coesione si persegue il fine di costruire per tutti la libertà di scegliere dove vivere, in contrasto con la tendenza alla depauperazione dei territori cosiddetti marginali che tali sono solo per dotazione dei servizi, realizzata da decenni di politiche non condotte attraverso lo strumento della coesione ma della parcellizzazione.

La coesione è allora la realizzazione del concetto di comunità dove ognuno di noi è messo in relazione con tutti gli altri. Perseguire l’obiettivo della inclusione sociale attraverso il metodo della Coesione vuol dire “realizzare Comunità” e stabilire forti relazioni territoriali che garantiscano la sostenibilità dello sviluppo. Significa mettere le Persone al centro del progetto di sviluppo, significa avvertire che la loro emarginazione è la tua sconfitta, è la sconfitta della tua cultura, della tua comunità. 

Per questo il termine coesione si riferisce alla densità delle relazioni umane, ma anche al metodo con cui si persegue lo sviluppo, quello sviluppo che fa crescere le relazioni e che deve fondarsi su una partecipazione democratica e condivisa e sulla responsabilizzazione attiva di tutti i soggetti che rappresentano le istanze del territorio. Il metodo della coesione è il metodo del confronto fra tutti i soggetti, della costruzione di coalizioni orizzontali – fra Comuni, imprese, cittadini organizzati. Questo metodo è quello validamente sperimentato nella Strategia delle Aree Interne lanciata da Fabrizio Barca (ispiratore di questa riflessione) e che oggi costituisce un esempio concreto di sviluppo costruito attraverso il “metodo della coesione”.

Sono stati spesi molti soldi, interi cicli dei fondi strutturali e del POC (il Patto per la Sicilia docet), per fare cose che non hanno lasciato il segno: al massimo hanno fatto spesa ma non hanno mai cambiato la direzione della curva di decrescita dei territori.  Da un lato, il peggioramento dei servizi fondamentali – scuola, salute, mobilità – e dall’altro la mancanza di capacità di liberare forze innovative, che consentirebbero di valorizzare questi territori. La logica della Strategia delle Aree Interne ha il merito di avere proposto un paradigma progettuale innovativo, puntando non a fare progetti ‘estemporanei’ particolarmente creativi tanto da non essere poi mai realizzati ma quella di affrontare, in maniera permanente, gli ostacoli che in questi territori rendono impossibile invertire la curva degli indicatori di sviluppo.

L’impalcatura metodologica della strategia Aree Interne ha puntato ad evitare che si tirassero fuori dal cassetto progetti già pronti e facilmente cantierabili, e si puntasse invece ad impostare un processo per cui ogni area si è interrogata sul proprio futuro e poi ha dato la parola alle comunità, invitando ai tavoli e ascoltando i soggetti rilevanti, i portatori di reale interesse, che hanno liberato idee e proposte, che spesso già c’erano ma erano tenute in disparte.

Quando parliamo – anche troppo e non sempre in modo congruo ed informato – di RecoveryFund dovremmo imparare dal metodo della coesione che ha avviato nei territori una stagione nuova, in cui si mettono da parte gli estri creativi, i personalismi, e soprattutto le progettualità ‘bandiera’. E lavorare invece attraverso la mobilitazione di intelligenza collettiva a realizzare comunità. Perché senza essa, non può esserci né ripresa, né resilienza.

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