Usura e racket fanno paura ma cresce la voglia di denuncia: il report di Confcommercio

Al Sud le imprese del terziario di mercato percepiscono un peggioramento dei livelli di sicurezza, più che nel resto d’Italia. L’usura resta il fenomeno criminale più diffuso secondo il 30% delle imprese (il 27 a livello nazionale). In particolare, la percentuale di imprenditori preoccupati per il rischio di esposizione a fenomeni di usura e racket nella zona in cui operano è del 19,1%, dato superiore alla media nazionale pari al 17,7%.

Ma l’analisi offre anche un dato importante: di fronte a fenomeni di usura e racket, il 66,7% delle imprese del Sud ritiene che si debba sporgere denuncia (un valore ampiamente superiore alla media nazionale del 58,4%). Sono questi alcuni dei dati che emergono dal report nazionale sull’usura, presentato a Roma in occasione della nona edizione della Giornata nazionale di Confcommercio “Legalità, ci piace”.

“Da noi c’è più consapevolezza del fenomeno – spiega Patrizia Di Dio, presidente di Confcommercio con incarico nazionale per la legalità e la sicurezza – e di conseguenza la denuncia alle forze dell’ordine viene percepita come un’esigenza imprescindibile per arginare questo fenomeno, che ha un costo elevatissimo per l’economia legale (31 miliardi l’anno, a livello nazionale, per commercio e pubblici esercizi). Continua a esserci un ottimo rapporto di fiducia e collaborazione con magistratura e forze dell’ordine ma occorre sottolineare che purtroppo la Sicilia è uno dei territori più colpiti dalla crisi economica, aggravata dalle prolungate chiusure per Covid e dalla mancanza di liquidità. Possiamo calcolare che almeno 2.500 – 3.000 imprese rischiano di essere “assorbite” da chi, attraverso l’usura e l’estorsione, cerca di approfittare del livello di grave difficoltà delle aziende dei settori più colpiti. Lo Stato può e deve fare di più, per le categorie che hanno subito i colpi più duri della crisi, senza poter contare su sostegni adeguati e veloci. Occorre eliminare gli ostacoli che si frappongono fra gli imprenditori e il diritto al credito, per assicurare liquidità alle imprese e garantire loro di poter andare avanti e recuperare i livelli di fatturato pre Covid”.

Un focus della ricerca del centro studi di Confcommercio ha riguardato anche il decoro urbano e la qualità della vita. Il 20% delle imprese del Sud e Isole ritiene che nell’ultimo biennio la qualità della vita nel centro urbano sia peggiorata, la media nazionale è del 19,9%. Quanto al degrado urbano, il 45,3% degli imprenditori del Sud ritiene degradati i centri di piccole dimensioni (comuni con meno di 10.000 abitanti), un dato decisamente superiore a quello nazionale pari al 27,9%. Rispetto ai centri più grandi (comuni con più di 10mila abitanti), il 54% delle imprese del Sud considera degradate le periferie (il dato nazionale è pari al 47,1%) e il 33,3% giudica degradati i centri storici (il dato nazionale è pari al 21,6%).

“Il dato è importante e al tempo stesso preoccupante, dove c’è degrado ambientale c’è anche degrado sociale e fragilità economica. Il Sud rischia sempre di più di diventare periferia del Paese e la percezione delle imprese – purtroppo assolutamente reale – deve fare riflettere sulla necessità di rigenerazione urbana, economica e sociale delle nostre città. Un tema che a Palermo è quanto mai pressante e dovrà essere un leit motiv della campagna elettorale: finora si è parlato poco di programmi concreti, di problemi reali di cui è sommersa Palermo, e non si parla affatto di economia e sviluppo”.

Il presidente di Confcommercio Sicilia, Gianluca Manenti, afferma che “Il perdurare della pandemia e gli effetti delle restrizioni su imprese ed economia hanno determinato la necessità di concentrare l’attenzione su fenomeni criminali quali l’usura e sui tentativi di infiltrazione della criminalità nel tessuto economico. Almeno 3mila imprese del commercio, della ristorazione e della ricettività, nell’isola, sono oggi ad elevato rischio usura. Quali le stime di Confcommercio? L’illegalità costa alle imprese siciliane del commercio e dei pubblici esercizi quasi 1,2 miliardi di euro all’anno e mette a rischio circa 10mila posti di lavoro”, conclude.

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